F.

Quando? E’ così facile ricordarlo. Settembre si addice ai rumori d’ormeggio, ai manti d’acqua e di terra.
L’ancora scivolava lieve e veloce. E dal fondale di parole neanche un granello di sabbia. Vino rosso semmai, fatto da lui per non disperdere i passi nella sua casa troppo grande. Troppo grande di stanze e suoni d’erba.
Era un modo per toccare il furore di quei giorni, fermentare il mosto. Ubriachi, d’aria ubriaca.
E poi quella bizzarria d’ottobre. Una camicia con una riga rossa nascosta, chiusa tutt’intorno al collo, vicino al sangue della sua giugulare in festa, e lo stupore che cede il passo ad un intreccio di fiati.
Quanto erano grandi le sue mani, se sostennero risate e pianti?
Il loro segreto erano il luogo e l’attimo, inconsuete dimore che non temevano né strada, nè stagione.
Erano.
Poi ogni cosa perse contorno. E tante altre volte insieme, non furono tutte le volte.
La casa restò superba e grande, ad ascoltare voci mute.
E il luogo segreto, confuse gli occhi del ricordo a chi intuì una simile follia. Ma a loro che la vissero, non fu capace di velare.
Tutto si sciolse. Come un nodo che per quanto stretto in sè, incontri nuove mani e nuovi bisogni pronti a smentirlo.
E di quel dissolversi e delle sue ragioni, neanche un' ipotesi indisciplinata e rabbiosa poté deviare il corso.
Non era più il loro tempo. Ma nessuna parola seppe spiegarlo senza dolore.
Ci sono misteri che non sanno contare né raccontare.
